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Un fiume di sport: questo il titolo della serata che ha riportato nel capoluogo quarnerino, nella sede della Comunità degli Italiani di Fiume un “figlio” perduto di questa città, che per molti aspetti continua ancora a coltivare una memoria frammentaria, selettiva della sua storia e dei personaggi – uomini e donne che si sono distinti in tutto lo scibile, e quelli fiumani sono stati tantissimi – che l’hanno scritta. L’incontro dedicato allo sport fiumano e un ospite illustre come l’ex marciatore Abdon Pamich, è servito anche a far conoscere pagine gloriose del passato di queste terre, raccontate in modo avvincente in due libri usciti lo scorso anno: il primo, La grande avventura dello sport fiumano. Cronache e ricordi, scritto a quattro mani con Roberto Roberti (nato a Pola ma trapiantato a Fiume, calciatore della Fiumana, ma anche nella Lazio e nella Roma) ed edito da Aracne (voluto dalla Società di Studi Fiumani, si avvale della prefazione dell’ex presidente Amleto Ballarini); il secondo, Memorie di un marciatore, porta solo la sua firma (Biblioteca dell’Immagine).
Ma al di là dei due volumi, la serata è stata un pretesto per omaggiare questa leggenda sportiva, per conoscerla dal punto di vista umano e da quello esclusivamente agonistico. Con tanti particolari e aneddoti. Cresciuto in uno dei rioni più popolari del capoluogo quarnerino, in Braida, profugo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si è trasferito a Genova assieme al fratello. Qui si avvicina al mondo dell’atletica e alla disciplina che gli darà poi tantissimi successi, ossia la marcia più impegnativa: quei 50 chilometri che mettono a dura prova la resistenza di chi vi si cimenta.
Apparso in straordinaria forma, vista anche l’età – i ben 84 anni non sono per lui un ostacolo, viaggia, è attivo, partecipa a diverse iniziative delle associazioni degli esuli e non solo –, asciutto nel fisico e nelle parole, modesto (tira via secco quando se ne tessono le lodi), ci ha riportato a un mondo sportivo un po’ perduto, fatto di tanta fatica e di un sano agonismo, in cui gli atleti dipendevano quasi interamente dalle proprie capacità, senza sostegno alcuno, né tecnico né di altro genere, in cui il concetto di “vincere” si riferiva soprattutto alla sfida con sé stesso, con i propri limiti.
Sofferenze? Sì, ma rientravano nella scelta fatta. “Mi svegliavo alle 4 per allenarmi prima di andare a lavorare. E a dormire ci andavo presto, al massimo alle 20,30, ‘lontano’ da mia moglie che ancora guardava la tv”. Lavorava ogni giorno e questo creava problemi con i suoi superiori i quali non sempre avevano comprensione per la sua attività, senza dimostrare propensione a concedere permessi speciali per lasciarlo andare alle gare: succedeva così che tutte le ferie le spendeva per poter disputare le varie competizioni.
Una lunga carriera, la sua, costellata di alti – diventato famoso, ha incontrato diversi capi di Stato, fra i quali Fidel Castro, nonché Tito, che per essere un leader di “proletari” gli è apparso assai poco proletario, visti gli sfarzosi gioielli della moglie Jovanka – e di bassi; di episodi difficili e drammatici – gli anni trascorsi negli alloggi assegnati ai profughi, privi di tutto, la fame, gli stenti – e di altri divertenti. O almeno così appaiono oggi, come il “retroscena” della gara disputata alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Si era preparato pensando che in Giappone avrebbe fatto caldo, invece è venuta giù la pioggia, anche abbondantemente. La malaugurata idea di assumere un tè freddo gli ha provocato un “terremoto” intestinale e dolori tali da costringerlo a fermarsi... dietro a un cespuglio. Rientrato in carreggiata, si è ripreso la gara con decisione, tornando in testa e vincendo in scioltezza.
Tante le cose che pubblico e relatori (Andrea Marsanich, Bruno Bontempo, Gianna Mazzieri-Sanković, Gloria Tijan, Michele Scalembra) hanno voluto sapere. Lui si è concesso generosamente, prestandosi pure agli immancabili selfie. In sala, un altro asso, Luciano Sušanj (oro sugli 800 metri agli Europei di Roma del 1974), il quale ha auspicato la pubblicazione di un volume che ricostruisca tutta la storia dello sport fiumano e ricordi i protagonisti che hanno fatto grande la città di Fiume, non importa sotto quale bandiera.

L'identikit
Nato a Fiume il 3 ottobre 1933, ha gareggiato per il club di atletica di Genova e per la nazionale italiana. Ha partecipato per cinque volte alle Olimpiadi – è già questo dato straordinario rende l’idea della grandezza di quest’atleta – nelle gare di marcia sui 50 chilometri: 1956 (quarto posto), 1960 (medaglia di bronzo), 1964 (medaglia d’oro), 1968 (abbandona la gara) e 1972 (viene squalificato). Il 16 ottobre del 1960 ha stabilito il primato mondiale nella marcia: 50 chilometri su pista con il tempo di 4h03’02”. Due volte campione europeo (1961 e 1966) e tre volte primo ai Giochi del Mediterraneo (1958, 1963 e 1971), è stato per tantissimi anni campione italiano di marcia
in tutte le discipline: ben 13 volte nella gara dei 10 km, altrettante in quella dei 20 km e infine ben 14 volte nella gara più lunga sui 50 chilometri. Alle Olimpiadi del 1972 a Monaco di Baviera è stato il portabandiera dell’Italia. È stato attivo dal 1954 al 1973

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Pubblicato su Panorama il 15 dicembre 2017.

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